LA FOCA MAESTRA
Nelle immense distese di ghiaccio, ai confini del globo terrestre, viveva un’allegra famigliola di foche.
Il bianco lucente della luce polare illuminava le foche durante le lunghe giornate che esse passavano allegramente tra immersioni nei ghiacci a caccia di pesci e lunghe passeggiate sulla banchisa. A volte era solo uno dei membri della famiglia a occuparsi della caccia, altre volte tutti i componenti partecipavano alle immersioni.
Un giorno apparvero sulla banchisa delle strane figure; erano curiosi animali che camminavano su due zampe e avevano in mano degli attrezzi lunghi e appuntiti. Il bianco candore della banchisa polare sembrava macchiato dalla presenza di questi nuovi animali e la famigliola era molto turbata da loro.
La grande foca maestra sosteneva di aver sentito parlare di questi animali, di aver sentito che amavano cacciare tutti quanti gli altri animali del mondo, foche incluse.
«Perché mai cacciano anche noi», chiese una piccola foca.
«E’ soprattutto di voi cuccioli che vanno a caccia», rispose la foca maestra, «pare che usino le vostre pelli per riscaldarsi quando arriva la stagione fredda».
I cuccioli rimasero molto spaventati da questa risposta. «Meglio così», pensò tra sé e sé la foca maestra, «in questo modo forse eviteranno di cacciarsi in qualche pasticcio».
Il tempo passava e gli strani animali continuavano ad aggirarsi guardinghi tra i ghiacci della banchisa, impedendo così alle foche di riprendere le passeggiate e le battute di caccia. Essi, inoltre, erano sempre più invadenti e ogni giorno facevano dei fori nel ghiaccio e vi inserivano i loro strani oggetti acuminati.
La foca maestra decise allora di intervenire per riportare la calma nella sua famigliola; con fare sicuro attraversò uno dei fori che gli animali avevano fatto e uscendo si posizionò in un posto ben visibile della banchisa. Gli animali a due zampe corsero immediatamente verso la foca circondandola, ma grande fu la loro meraviglia quando udirono la foca parlare ed esprimersi nella loro lingua.
«A cosa serve questa vostra caccia», disse la foca, «state forse morendo di fame? Posso procurarvi del pesce se volete».
Gli strani animali restarono di sasso alle parole della foca che continuò il suo discorso dicendo loro: «Ciò che lancerete con le vostre mani, tornerà da voi colpendovi inesorabilmente. Quando raccogliete i frutti della terra e poi piantate dei nuovi semi, agite con giustizia, ma quando uccidete degli animali indifesi, non per nutrirvi ma per brama di ricchezza e vanità, non fate altro che provocare una grande ferita alla natura. Ciò che volete farci non porterà in voi un senso di quiete e di pace ma solo una cieca e inutile violenza. Tornate alle vostre dimore e portate con voi l’immagine dei ghiacci, del mare di questa banchisa, il fragoroso suono del vento, non macchiate il candore della neve versando inutilmente del sangue».
Gli uomini terrorizzati udirono davvero il sibilo imperioso del vento che accompagnava quella strana foca mentre essa ridiscendeva attraverso il buco nel mare sottostante la banchisa.
Il giorno seguente, dopo aver passato l’intera notte a parlare e a guardarsi increduli l’un l’altro, essi partirono e promisero a sé stessi che non avrebbero mai più cacciato animali indifesi.